venerdì 14 marzo 2008

Ciarrapico ovvero come mettere il prosciutto sugli occhi ai cittadini

Il finto telegiornale di Rai 1 ha appena dedicato un intero servizio al caso Ciarrapico. Botta e risposta Veltroni-Berlusconi, con quest’ultimo che addirittura ricomincia con il suo solito ritornello sui passati scempi dei comunisti. Perdono in diretta di Fini che poverino quando si parla di fascisti si punge sempre e mette le scuse avanti…
Non ho cronometrato, ma sicuramente tre minuti buoni di servizio. Solo in conclusione 3 secondi per una battuta di Di Pietro. Qual è il problema? Il problema è che quei 3 secondi sui 3 minuti totali rappresentavano l’intero contenuto informativo del servizio: la vera informazione! Ma forse la parola informazione per Gianni Riotta ha un significato tutto personale. In ogni caso ecco per sommi capi le parole di Di Pietro: “Tutti dibattono sulla presunta fede fascista di Ciarrapico ma nessuno dice che è un pluricondann…”, quasi interrotto sulla parola compromettente! Veramente vergognoso.

Solo perché per me la parola informazione ha un significato diverso do un po’ più di 3 secondi a Di Pietro per esprimere il concetto (prelevato dal suo blog):

Se c’è qualcosa di veramente sbalorditivo in questi giorni è la cecità selettiva di tutti i mezzi di informazione sulla vicenda Ciarrapico. Tutti si sono soffermati sulla nostalgia per il ventennio di Ciarrapico che, per quanto triste, appare più che altro un fatto di colore. Ma nessuno si è preso la briga di dire che questo signore è stato condannato a tre anni per la bancarotta di una sua società; che è stato nuovamente condannato con sentenza penale passata in giudicato per finanziamento illecito ai partiti e che, ciliegina sulla torta, è stato condannato a quattro anni e mezzo di carcere per il crack del Banco Ambrosiano e che, come risulta da alcuni mezzi di informazione, non avrebbe mai risarcito un solo centesimo dei danni arrecati alle parti civili, continuando per tutti questi anni a sottrarsi all’esecuzione delle sentenze.

Capisco che Di Pietro si è alleato con Veltrusconi ma almeno facciamolo finire di parlare!

Vota Sonia Alfano Presidente

giovedì 13 marzo 2008

I Incontro sociale Grilli dello Stretto

Domenica 16 Marzo i Grilli dello Stretto organizzano una serata in compagnia presso il ristorante l'Orso. Ci sarà un aperitivo con ampio buffet e sarà un'occasione importante per conoscere di persona Sonia Alfano la nostra candidata alla Presidenza della Regione Sicilia.

Tim Burton's Sweeny Todd

Tim Burton torna con uno dei suoi capolavori. Sweeney Todd, il diabolico barbiere di Fleet Street è nelle nostre sale cinematografiche ormai da due settimane e sarebbe un peccato lasciarselo sfuggire.


Burton è certamente uno dei pochi registi hollywoodiani veramente creativi e forse l’unico a risultare immediatamente riconoscibile persino ad un occhio poco attento. Anche in quest’ultima prova, sebbene per lui il musical sia una novità, se escludiamo i capolavori in stop-motion Nightmare Before Christmas e La sposa cadavere, la firma del regista è evidente. Soprattutto nei colori della pellicola, che passano dalle varie gradazioni di grigio delle atmosfere nebbiose e putrescenti di una Londra che più gotica non si può, agli sgargianti ed enfatizzati azzurro e verde dei paesaggi sognati dalla superba attrice Helena Carter (compagna del regista) che nel film recita la parte dell’innamoratissima complice del barbiere assassino, interpretato da un bravissimo Johnny Depp.

Memorabile la scena nella quale i due preparano il menù che verrà servito ai tavoli del loro ristorante discutendo sulle proprietà nutritive che le carni delle persone appartenenti alle varie classi sociali di Londra possono presentare: molti degli abitanti del quartiere verranno effettivamente sgozzati sulla poltrona del barbiere in cerca di vendetta e cucinati in un infernale forno sotto forma di succulenti pasticci di carne.

Johnny Depp, che non si aggiudica l’oscar come migliore attore protagonista vinto invece da Daniel Day-Lewis in Il Petroliere, si conferma uomo dell’ottocento per eccellenza e piazza una interpretazione magistrale, come sempre basata sulla sua eccezionale mimica, nella quale armato di rasoi d’argento ricorda immediatamente il pur sempre burtoniano Edward.

Rimpiangendo le musiche di Danny Elfman ci consoliamo con l’oscar degli italiani Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo che ci consentono di sperare che anche il talento italiano possa ogni tanto mostrare qualcosa di veramente apprezzabile.

Insomma, Burton trasforma il granguignolesco musical di Broadway in una delle meravigliose danze alle quali ci ha ormai abituato e nella quale poetici fiumi di sangue, rigorosamente rosso pastello, saranno apprezzati anche dai deboli di stomaco.

Articolo già pubblicato su www.messinanews.com.

mercoledì 12 marzo 2008

Replicanti vivi o morti?


Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di orione; e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tennhauser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia… è tempo di morire.

Sono le ultime parole di Roy Batty. Gli ultimi pensieri di un replicante, di uno schiavo, di un essere umano che poco prima di morire, a causa di un imperativo scritto nel suo stesso DNA dai suoi creatori, grida in silenzio la disperazione per non essere libero, per essere nato in catene, per essere solo la copia di un altro essere umano.

Sono parole che resteranno nella storia del cinema. I versi del più profetico film di fantascienza mai girato: “Blade Runner”, di Ridley Scott, tratto dal libro “Do the androids dream electronic sheeps?” di P.K. Dick.

Parole affascinanti, evocative, ma in fondo sono solo le parole di un film; niente più che una citazione da scrivere sul proprio blog o da inserire come firma personale su MSN per fare colpo su qualcuno. D’altra parte i replicanti non esistono e certamente quello dipinto in Blade Runner è un futuro che non si realizzerà mai.
Proviamo però a guardarci intorno. Siamo così sicuri che quel futuro non sia già il nostro presente?

Giriamo per le strade a passo svelto, con le auricolari del nostro Ipod alle orecchie, il cellulare ultimo modello appeso al collo, mettendoci in fila per entrare tutti negli stessi locali di tendenza del momento, parlando tutti delle stesse cose e stando sempre bene attenti a nascondere i nostri reali pensieri.

Guardiamo in tivvù le armate che replicano questo nostro Occidente in ogni angolo del mondo.

Ogni giorno ci guardiamo allo specchio ormai convinti dai nostri creatori di non poter fare nulla, anzi, di non voler fare nulla: perchè fa tutto schifo, perchè pensiamo che i nostri sogni non si possono realizzare, che le cose non si possono cambiare, e crediamo che l’unica cosa che ci resta da fare è non pensare, distraendoci con tutto il vacuo che la nostra società in rovina ci offre.
E allora, forse, ci accorgeremo presto che Roy, quanto meno, grida che lui non ci sta. Grida che lui non lo vuole quel destino che altri hanno scelto al suo posto. In fondo, dopo tutto, lui è un replicante libero, un replicante che si ribella, un replicante vivo; noi, forse (?), siamo solo replicanti morti.

Articolo già pubblicato su www.messinanews.com.