mercoledì 12 marzo 2008

Replicanti vivi o morti?


Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di orione; e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tennhauser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia… è tempo di morire.

Sono le ultime parole di Roy Batty. Gli ultimi pensieri di un replicante, di uno schiavo, di un essere umano che poco prima di morire, a causa di un imperativo scritto nel suo stesso DNA dai suoi creatori, grida in silenzio la disperazione per non essere libero, per essere nato in catene, per essere solo la copia di un altro essere umano.

Sono parole che resteranno nella storia del cinema. I versi del più profetico film di fantascienza mai girato: “Blade Runner”, di Ridley Scott, tratto dal libro “Do the androids dream electronic sheeps?” di P.K. Dick.

Parole affascinanti, evocative, ma in fondo sono solo le parole di un film; niente più che una citazione da scrivere sul proprio blog o da inserire come firma personale su MSN per fare colpo su qualcuno. D’altra parte i replicanti non esistono e certamente quello dipinto in Blade Runner è un futuro che non si realizzerà mai.
Proviamo però a guardarci intorno. Siamo così sicuri che quel futuro non sia già il nostro presente?

Giriamo per le strade a passo svelto, con le auricolari del nostro Ipod alle orecchie, il cellulare ultimo modello appeso al collo, mettendoci in fila per entrare tutti negli stessi locali di tendenza del momento, parlando tutti delle stesse cose e stando sempre bene attenti a nascondere i nostri reali pensieri.

Guardiamo in tivvù le armate che replicano questo nostro Occidente in ogni angolo del mondo.

Ogni giorno ci guardiamo allo specchio ormai convinti dai nostri creatori di non poter fare nulla, anzi, di non voler fare nulla: perchè fa tutto schifo, perchè pensiamo che i nostri sogni non si possono realizzare, che le cose non si possono cambiare, e crediamo che l’unica cosa che ci resta da fare è non pensare, distraendoci con tutto il vacuo che la nostra società in rovina ci offre.
E allora, forse, ci accorgeremo presto che Roy, quanto meno, grida che lui non ci sta. Grida che lui non lo vuole quel destino che altri hanno scelto al suo posto. In fondo, dopo tutto, lui è un replicante libero, un replicante che si ribella, un replicante vivo; noi, forse (?), siamo solo replicanti morti.

Articolo già pubblicato su www.messinanews.com.