martedì 19 gennaio 2010

Miscellanea sulle sentenze di Strasburgo su Craxi

In questi giorni ho sentito parlare delle sentenze che la Corte di Strasburgo ha emesso nel corso degli anni in risposta ai ricorsi di Craxi e dei suoi familiari. Non ne sapevo molto. Ecco a cosa serve la rete:

SENTENZA / La Corte europea dei diritti dell' uomo


Strasburgo boccia il ricorso di Craxi «Processi giusti, non fu perseguitato»

SENTENZA / La Corte europea dei diritti dell' uomo Strasburgo boccia il ricorso di Craxi «Processi giusti, non fu perseguitato» MILANO - «E' opportuno ricordare che Bettino Craxi è stato condannato per corruzione e non per le sue idee politiche. La Corte ritiene che gli elementi prodotti da Craxi non possano indurre a pensare che i rappresentanti della Procura abbiano abusato dei loro poteri al fine di nuocere alla sua immagine pubblica o al Psi». Con questa risposta la «Corte europea dei diritti dell' uomo» di Strasburgo ha respinto il ricorso «Craxi contro l' Italia» del 15 ottobre 1999, nel quale l' ex presidente del Consiglio e segretario del Psi - scomparso il 19 gennaio 2000 in latitanza ad Hammamet dopo essere stato condannato sino in Cassazione per le tangenti sugli appalti della Metropolitana - aveva formulato rilievi analoghi a quelli mossi anche oggi ai magistrati milanesi: tesi secondo le quali i «rappresentanti dell' accusa hanno perseguito scopi di natura politica», «fatto un uso politicamente orientato dei loro poteri istituzionali», «influenzato le dichiarazioni non spontanee dei testimoni d' accusa», «sfruttato campagne di stampa per ottenere un verdetto di colpevolezza». Ma la Corte di Strasburgo, tante volte invocata quando censura i casi di malagiustizia in Italia, ha risposto («all' unanimità» dei sette giudici) di non ravvisare nell' iter delle inchieste su Craxi alcuna «iniquità» o «assenza di imparzialità». Il fatto ad esempio che in appello il giudice Renato Caccamo abbia fissato a tempo di record il processo, per evitarne la prescrizione, per Strasburgo «non rivela alcun segno di parzialità», anzi «sembra conforme a una buona amministrazione della giustizia e all' esigenza del rispetto della "ragionevole durata" dei processi». Craxi, nel ricorso patrocinato dopo la sua morte dai difensori Giannino Guiso e Vincenzo Lo Giudice, aveva anche lamentato che le principali prove a suo carico fossero le dichiarazioni rese da Silvano Larini durante le indagini preliminari; e che esse, in base alla legge allora vigente, fossero state direttamente acquisite agli atti dei processi, «privandolo del diritto di controinterrogare il suo accusatore». Ma la Corte ricorda che, quando il Parlamento cambiò la legge, Craxi «ebbe la possibilità di domandare la convocazione di Larini: tuttavia il ricorrente non ha presentato la domanda nei termini previsti, ossia al momento della prima udienza» successiva all' entrata in vigore della nuova legge, e cioè il 14 luglio 1998. Strasburgo «assolve» infine anche i mass media. Sia nel senso che «nulla nel fascicolo permette di pensare che i giudici di professione siano stati influenzati dalle affermazioni di stampa», sia perché «la Corte ritiene inevitabile che in una società democratica la stampa faccia commenti talvolta severi su un caso sensibile» come il caso di Craxi, «che metteva in discussione la moralità degli amministratori pubblici e i rapporti tra mondo della politica e degli affari». Luigi Ferrarella lferrarella@corriere.it LE CONDANNE Bettino Craxi è morto il 19 gennaio 2000 ad Hammamet: era stato condannato definitivamente per corruzione e illecito finanziamento nei processi «Metropolitana milanese» ed «Eni-Sai». IL RICORSO Esauriti tutti i gradi di giudizio in Italia, il 15 ottobre 1999 Craxi aveva fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell' uomo, lamentando una «persecuzione politica». LA SENTENZA Ma la Corte di Strasburgo respinge il ricorso: niente nelle inchieste «può far pensare che i pm abbiano abusato dei loro poteri per nuocere all' immagine pubblica di Craxi o del Psi». Ferrarella Luigi

Pagina 12
(1 novembre 2001) - Corriere della Sera


Violato il “diritto alla difesa”

da Il Messaggero - 7/12/2002

Vittoria postuma anche se simbolica, ieri a Strasburgo, per Bettino Craxi e la sua famiglia. La Corte europea dei diritti umani ha accolto parzialmente il ricorso che l'ex-premier socialista aveva presentato contro lo stato italiano nel 1997 e ha condannato l'Italia per violazione dell'articolo sei della convenzione di Strasburgo sull'equo processo. In particolare i giudici europei hanno ritenuto in contrasto con i comma 1 e 3b dell'articolo 6 il fatto che nel processo Eni-Sai Craxi sia stato condannato, a 5 anni e 6 mesi nel dicembre 1994, sulla base di deposizioni scritte rese da testimoni o da coimputati che non furono chiamati a deporre durante il processo. Una facoltà consentita allora dalla legge italiana, e che in seguito è stata abolita. L'articolo sei della Convenzione europea dei diritti umani sancisce il principio che ogni imputato ha il diritto di interrogare o di fare interrogare dai propri legali le persone che lo accusano. Questo diritto, per i giudici di Strasburgo, è stato violato ai danni di Craxi nel processo Eni-Sai. La Corte ha sottolineato in particolare come la stessa Corte di Cassazione italiana in una sentenza del novembre 1996 abbia rilevato che Craxi è stato «condannato esclusivamente sulla base delle dichiarazioni pronunciate prima del processo da coimputati (Cusani, Molino e Ligresti) che si sono astenuti dal testimoniare e di una persona poi morta (Cagliari)». I difensori di Craxi «non hanno potuto contestare le dichiarazioni che hanno costituito la base legale della condanna», hanno aggiunto i giudici europei. La corte di Strasburgo ha invece respinto gli altri due punti del ricorso di Craxi, nel quale l'ex-premier aveva denunciato di non avere potuto organizzare adeguatamente la propria difesa e di essere stato condannato anche a causa di una campagna di stampa condotta nei suoi confronti che avrebbe influenzato i giudici. La sentenza della Corte non prevede sanzioni o risarcimenti specifici. La causa davanti alla giustizia europea era stata avviata da Craxi, allora ad Hammamet, nel ’97. Dopo la sua morte, nel gennaio 2000, la famiglia aveva deciso di portare avanti il ricorso. L’ex pm Antonio Di Pietro, che non si occupò della vicenda Eni-Sai, difende ugualmente i suoi ex colleghi del pool di Mani Pulite: «I magistrati si limitarono ad applicare la legge che c'era».


ROMA - Si chiude dopo nove anni il caso "Craxi contro Italia" alla Corte europea dei diritti umani. Ieri, infatti, è stato accolto il ricorso presentato dall' ex presidente del Consiglio (e portato avanti, dopo la sua morte, dai familiari) contro lo Stato, condannato per violazione dell' articolo 8 della Convenzione europea dei diritti umani, che sancisce il diritto al rispetto della vita privata. Si tratta della seconda vittoria postuma per Bettino Craxi a Strasburgo. La vicenda in questione riguarda le intercettazioni telefoniche tra la residenza tunisina di Craxi, ad Hammamet, e l' Italia, disposte dalla magistratura milanese nel 1995, nel quadro del processo "Metropolitana Milanese". Su questo episodio la Corte ha emesso una duplice condanna. I giudici europei, all' unanimità, hanno constatato che «le autorità italiane non hanno seguito le procedure legali», quando, durante un' udienza del processo, furono letti dal pm milanese Paolo Ielo degli estratti delle intercettazioni. Infatti, «non c' è stata un' udienza preliminare nel corso della quale le parti e il giudice avrebbero potuto escludere i passaggi delle conversazioni intercettate privi di rapporto con la procedura». La seconda condanna riguarda le indiscrezioni apparse sui giornali. Con sei voti a favore e uno contrario (quello del giudice italiano Vladimiro Zagrebelsky), la Corte ha rilevato che «spettava al Governo dare una spiegazione plausibile su come queste informazioni fossero giunte in possesso della stampa, ma non l' ha fatto». Lo Stato, quindi, non ha rispettato l' obbligo di garantire l' effettiva protezione del diritto sancito nel primo paragrafo dell' articolo 8 della Convenzione, secondo cui «tutti hanno diritto al rispetto della propria vita privata e della propria corrispondenza». Inoltre, la Corte non ha riscontrato l' eccezione al diritto garantita all' autorità pubblica (paragrafo 2) «nell' interesse della sicurezza nazionale». La Corte non ha accolto la richiesta, avanzata dai legali, di un risarcimento per i danni materiali subiti da Craxi fino alla sua morte. Per i danni morali, invece, lo Stato italiano è stato condannato a una pena pecuniaria di 6.000 euro, da dividere tra gli eredi. «Il pronunciamento della Corte - ha affermato emozionato il figlio Bobo - è la conseguente condanna del nostro Paese in materia di violazione dei diritti umani. Risulta ormai evidente - ha continuato - il carattere persecutorio e politico dell' azione giudiziaria che costrinse mio padre a riparare in esilio». Il presidente della commissione Giustizia della Camera, Gaetano Pecorella, ha commentato: «Questo dimostra ancora una volta che ci sono stati degli eccessi durante Tangentopoli». E ha aggiunto: «L' obiettivo era buono, ma i mezzi spesso sono stati ingiusti». Nel dicembre scorso era arrivata la prima vittoria: lo Stato fu condannato per violazione dell' articolo 6 (sul giusto processo), in quanto durante i processi a carico di Craxi, i suoi legali non avevano potuto interrogare in aula tutti i testimoni. Nel 2001, invece, la Corte aveva respinto il ricorso presentato contro la condanna per corruzione e illecito finanziamento dei partiti, pronunciata nel 1998 dalla Corte d' Appello di Milano in merito al caso «Metropolitana Milanese», per la quale Craxi aveva parlato di "persecuzione". La Corte riconobbe che l' onorevole fu condannato per corruzione e non per le sue idee politiche. - PATRIZIO CAIROLI

19-01-10
CRAXI: BORRELLI, UNA SPECULAZIONE SUA RIABILITAZIONE. ERA UN LATITANTE

(ASCA) - Roma, 19 gen - L'ex procuratore capo di Milano Francesco Saverio Borrelli, capo del pool di 'Mani pulite' che nel '92 avvio le inchieste di Tangentopoli definisce ''sconveniente'' l'intitolare una strada di Milano a Bettino Craxi e trova ''offensivo'' che ''a breve distanza di tempo e per ragioni meramente speculative si voglia riabilitare un cittadino che si sottrasse alla giustizia del proprio Paese e si rese latitante''. Della sua personalita', ''sicuramente piu' complessa e politicamente sfaccettata di cio' che raccontano gli atti giudiziari'', si potra' discutere, dice in un'intervista a La Stampa, solo ''quando la distanza sara' tale da garantire una prospettiva storica e non solo politica''.
Borrelli non crede poi che il Capo dello Stato Giorgio Napolitano abbia ieri, con la sua lettera alla vedova Craxi, ''rivolto una bacchettata a noi''. In un passaggio della lettera, Napolitano ricordava come la Corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo ritenne nel 2002 che in una delle sentenze di condanna dell'ex leader socialista, ''pur nel rispetto delle norme italiane allora vigenti'' fosse stato violato ''il diritto a un processo equo''. Il magistrato ricorda che ''vi furono tre sentenze della Corte di Strasburgo sui processi a Craxi'' e non tutte negative. ''La sentenza del 2002 - prosegue - ritenne violata la convenzione dei diritti dell'uomo sul giusto processo, in relazione alla sentenza di condanna Eni-Sai.
Ma la Corte non entro' nel merito dell'imputazione - precisa Borrelli - bensi' della legge italiana che non si era conformata ai dettami europei''. Quindi nessun ''dolo'' da parte dei giudici, ''del resto la Corte di Strasburgo scrisse anche che non era possibile pensare che i rapprsentanti della Procura avessero abusato dei loro poteri''.

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